Juan D'Arienzo
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Juan D'Arienzo nacque a Buenos Aires in Argentina il 14 dicembre del 1900 e morì il 14 gennaio del 1976. Fu soprannominato "El Rey del Compás", ovvero "Il re del ritmo" proprio perché il tango proposto da D'Arienzo fu caratterizzato da un ritorno al ritmo, un'intuzione che rese i suoi brani i più apprezzati in assoluto tra tutti i ballerini di tango. D'Arienzo iniziò la sua carriera artistica nelle orchestre da operetta come violinista di livello non eccelso. Negli anni '20, un giovanissimo Juan suonava il tango nei locali di periferia di Buonos Aires, componente di complessi di second'ordine. Il 1935 rappresentò un anno di profonda svolta per tutto il movimento musicale e culturale del tango. Il grande Carlos Gardel, massimo esponente canoro del genere, era morto tragicamente in un incidente aereo. Proprio Gardel era riuscito nell'impresa, non da poco, di far primeggiare il ruolo del cantante nelle orchestre, a discapito dell'importanza della musica. Il modello di tango sentimentale, riflessivo e struggente, cantato dal Gardel si era discostato dal tango delle origini, quello suonato e ballato nei bassifondi delle città argentine. Il tango di Gardel si era imposto alle classi benestanti, quasi fosse una moda di tendenza. Parecchi musicisti argentini, a partire da Julio De Caro, portarono avanti questo "modo nuovo" di intendere il tango, in contrapposizione a chi invece, Francisco Canaro tra i tanti, si professava ancora legato alle origini del genere musicale suddetto. Eppure, origini o non origini, entrambe le correnti proponevano un tango dai ritmi lenti, un tango che si faceva ascoltare ma non ballare. Il pubblico cominciò ad allontanarsi dal tango. Poteva continuare ad apprezzare le ricercatezze stilistiche dei presunti innovatori o essere affezionato alle sonorità più antiche dei tradizionalisti, ma il tango necessitava di ritmo e chiedeva di essere ballato.
Juan D'Arienzo comprese questo bisogno musicale. Siamo nel pieno degli anni '30 e D'Arienzo aveva smesso di suonare il violino per passare alla direzione delle orchestrine teatrali. L'esperienza artistica maturata lo portò a interrogarsi sul ruolo che il tango aveva assunto nell'ultimo decennio. Bisognava ritornare a quel tango delle origini che trovava nel ballo la sua massima espressione grazie al ritmo. D'Arienzo abbandonò dunque sentimentalismi e melodie struggenti a favore di sonorità sferzanti e quasi aggressive. Il successo della sua orchestra e dei suoi brani fu epocale tra i ballerini di tango. In questo contesto, non si deve dimenticare il ruolo di Rodolfo Biagi, un talento sopraffino al pianoforte, che collaborò con D'Arienzo dal 1935 al 1938. Biagi, che inizò la sua carriera artistica suonando le musiche di sottofondo per i film mutì, approdò al tango quasi per caso, scoprendosi uno spettacolare pianista di genere. Aveva il ritmo nel sangue. Riusciva con estrema facilità a donare ai tanghi che suonava dei virtuosismi al pianoforte e delle specifiche qualità ritmiche che solo la sua musica possedevano. L'accoppiata D'Arienzo-Biagi fu, per tutti questi motivi, esplosiva. Al solo annuncio che l'Orchestra di D'Arienzo si sarebbe esibita, la "milonga" si riempiva di ballerini ansiosi di misurarsi con il ritmo sferzante ed energico dei suoi brani.
D'Arienzo riteneva fondamentale il piano nell'esecuzione dei suoi tanghi tanto da accettare a denti stretti il venire meno di Biagi che nel 1938 lo abbandonò per formare una propria orchestra. I successivi pianisti alle dipendenze di D'Arienzo imitarono, chi più chi meno, lo stile del Biagi. Diverso fu il rapporto del maestro con i cantanti. Agli inizi, D'Arienzo manifestò una certa opposizione ai cantanti di tango, colpevoli, secondo lui, di aver rubato la scena all'orchestra, ridotta a un ruolo secondario di semplice accompagnamento. Nel corso degli anni, il suo giudizio si mitigò, tanto da introdurre nella sua Orchestra, (anche per fini di mercato e di consenso), delle voci importanti in grado di "rubare" la scena alla musica. In ogni modo, il cambio di stile perpetrato dal D'Arienzo segnò una sorta di nuova vita per il tango, un ritorno alle origini, all'importanza del ballo e al ruolo centrale dei ballerini che ritornarono ad affollare entusiasti le milonghe. Le altre orchestre si adeguarono allo stile de "El Rey del Compás" abbandonando tutta l'esperienza maturata fino a quel momento. Il ritmo faceva da padrone e il tango argentino era ormai concentrato sul ballo. La rivoluzione reazionaria di D'Arienzo era servita.
Articolo a cura di Andrea Contorni R.
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